Il Tourist Trophy è una competizione storica che riflette, nonostante gli anni, l'ideale più romantico del motorsport
Il motorsport è nato dalla passione degli uomini per la velocità, per il pericolo e per l’adrenalina.
Non sbaglia chi definisci i piloti, di auto e di moto, come i gladiatori dell’era moderna. Essere un pilota significa mettere il proprio se al servizio del mezzo, per portarlo ad essere il più veloce in pista, per permettergli di superare gli avversari e trionfare. Il motorsport è sempre stato uno sport decisamente pericoloso, in cui il rischio fa parte del gioco, ed è forse ciò che lo rende così affascinante.
Il Tourist Trophy è il miglior esempio di cosa possa fare la passione per le corse. Questa competizione rappresenta un modo di intendere il motorsport ancorato alla sua tradizione iniziale, in cui la morte aleggia nel paddock e in pista.
La sicurezza prima di tutto è lo slogan del motorsport dagli anni ottanta in poi quando, dopo una numerosa striscia di morti, le federazioni hanno iniziato ad investire soldi per la messa in sicurezza dei circuiti e hanno costretto i team a sviluppare monoposto sempre più sicure.
Tutti questi investimenti non hanno e non potranno mai azzerare i rischi per i piloti, ma sono stati fondamentali per ridurre le possibilità di incidenti con conseguenze gravi. Il Tourist Trophy in tal senso va in controtendenza. Lungi da me ovviamente dire che al Tourist Trophy non si faccia nulla per la sicurezza dei piloti, ma per come è strutturata la gara risulta molto complesso effettuare interventi per la messa in sicurezza del tracciato.
Si tratta infatti di una competizione che si corre sulle strade extraurbane dell’isola di Man, in cui le moto sfrecciano a quasi 300 chilometri orari a pochi centimetri dalle case abitate dagli isolani. Un singolo errore può risultare fatale.
Il Tourist Trophy rappresenta un modo di intendere il motorsport molto più romantico di tutte le altre competizioni. Una corsa sull’isola di Man è prima di tutto una corsa contro se stessi, contro la voce impaurita nella tua testa che ti dice di chiudere il gas.
Questa è la vera essenza del motorsport in ogni sua forma. L’uomo che prima di battere gli altri piloti in pista batte la paura che lo attanaglia, supera i suoi limiti e compie azioni che altri non sarebbero riusciti a compiere. La morte è ovviamente dietro l’angolo e sapere che ogni curva potrebbe essere l’ultima è una condizione che il pilota accetta. E in fin dei conti forse lo gratifica.
Nel 2019, quando si guarda un Gran Premio, non ci si aspetta che i pilota in gara possano ferirsi in maniera anche grave. Si guardano le corse come si guardano le partite di calcio, sempre in attesa di un’azione chiave. Siamo abituati ad esultare quando il pilota avversario finisce fuori strada o si tocca con altri piloti, allo stesso modo di quando viene assegnato un rigore alla nostra squadra preferita.
Non si tratta di una cosa necessariamente negativa, è comunque molto positivo il fatto che la Formula 1 e la MotoGp siano diventate così sicure. Ma non scandalizzatevi quando sentite di incidenti gravi al Tourist Trophy. Ricordatevi che tutto è iniziato così. Magari per la maggior parte degli appassionati in virtù della sua pericolosità non ha più senso correrlo. Ma ha senso per chi ci corre.