Piaggio Ape: nascita e storia

Era un’Italia messa in ginocchio dalla guerra appena terminata, quella in cui il mitico Piaggio Ape vide la luce.

Un’Italia dove i mezzi di trasporto scarseggiavano, dove gli spostamenti delle persone avvenivano in modo lento e precario, quasi a simboleggiare il blocco materiale e spirituale che aveva schiacciato il Paese prima durante gli anni durissimi del conflitto e poi nei tempi forse ancora più incerti della timida rinascita, dei faticosi tentativi di rialzare la testa.

La gioia per la fine delle ostilità era durata poco, si era spenta nelle macerie che seppellivano le nostre strade, le nostre case, i nostri morti. Possedere un’automobile era più che un lusso e le opportunità lavorative della gente erano frustrate, oltre che dallo stato di crisi generale, anche dall’impossibilità di raggiungere quotidianamente città diverse da quelle che si abitavano: i nostri nonni e bisnonni riuscivano a malapena a soddisfare le loro necessità, mentre le aspirazioni personali e i “sogni” erano spesso riservati solo ai giovani di famiglia ricca, la futura classe dirigente.

Nascita del Piaggio Ape

E fu così che il Piaggio Ape nacque proprio nel 1948 di Ladri di biciclette, il film capolavoro di Vittorio De Sica che parla appunto di quanto all’epoca, come adesso, d’altronde, fosse vitale possedere almeno un piccolo mezzo di trasporto: certo, se oggi i nostri curriculum rischiano di venire scartati qualora privi della dicitura “in possesso di patente B“, allora per lavorare bastava una semplice bicicletta. Tanto semplice che il protagonista della pellicola deve impegnare le lenzuola del corredo di sua moglie per riavere indietro la sua, e che alla fine la stessa gli verrà portata via senza possibilità di ritorno.

In un simile 1948, dicevamo, la Piaggio sfornò questo incrocio tra un motofurgone e uno scooter che pareva quasi volersi prendere una rivincita contro la miseria che attanagliava il popolo italiano. Se acquistare un mezzo a quattro ruote era impensabile per una famiglia media, se il lavoro mancava e le code fuori dagli uffici di collocamento erano chilometriche, se il morale era a terra, ecco un prodotto apparentemente libero da costrizioni: di ruote ne aveva tre, quindi in un certo senso era diverso dalle automobili di lusso che la gente comune neppure sognava; era un veicolo commerciale, come a dire che che nonostante tutto era ancora necessario impegnarsi per costruire utensili che aiutassero l’uomo nei propri progetti e nelle proprie opere; e il carattere del Piaggio Ape, pimpante a dispetto delle sue dimensioni ridotte, sembrava uno stimolo a farsi coraggio.

Anche nel più buio dei momenti, un italiano come quell’Antonio Ricci rimasto senza bicicletta poteva alzare gli occhi e vederlo trotterellare lungo la via, magari con un po’ di fatica (i primi modelli somigliavano a una Vespa attaccata a un rimorchio) eppure senza fermarsi: il Paese arrancava, però non si era ancora fermato.

Attualmente questo veicolo ha assunto forme più dinamiche e significati più leggeri: come dimenticare infatti l’Ape Calessino che ancora adesso è utilizzato come risciò nel sud est asiatico? E se da noi ormai i pochi esemplari si confondono nella moltitudine di macchine belle, rombanti e feroci che affollano le strade, non dobbiamo pensare che sia un peccato: le guerre passano, i periodi neri passano e i mezzi di trasporto pure, ma il pronipote di Antonio Ricci oggi va al lavoro sulla sua auto.

Produzione nel mondo

In che modo e in quali luoghi si è diffusa la leggenda del Piaggio Ape? Il grosso della produzione lo troviamo, come si può immaginare, in Europa: dal 1948 al 2000 sono state realizzate ben 16 serie derivate dal primo prototipo, tra cui cito in particolare l’Ape C (1956-67), la quale segnò una svolta nella storia della macchina grazie all’inserimento della cabina chiusa e delle portiere, mancanti nelle precedenti versioni.

Un altro modello da ricordare è forse l’Apecar del 1971, dotato di una cabina grande quanto quella dei camioncini a quattro ruote; nel 1984, poi, arrivò anche la variante Diesel.

Infine non dimentichiamo l’ultima serie del 2000, l’Ape Cross Country 50: non esattamente all’avanguardia ma di sicuro più presente a se stessa rispetto ai vecchi prototipi, dotata di forme più razionali e “cittadine“, per dimostrare di saper stare al passo coi tempi.

Fuori dall’Europa, invece, il Piaggio Ape ha avuto successo soprattutto in India con le cosiddette Apé: in questa nazione ne sono state prodotte 6 serie a partire dal 2006, mentre persino una particolare versione del Quargo qui viene chiamata Apé Truk Plus… Insomma, un vero successo.

Tra le creazioni indiane dobbiamo nominare l’Apé Classic, riedizione di un semplice modello 601 (però in Diesel), la quale servì ad aprire la strada alle altre: l’Apé City, disponibile con motore a benzina, a GPL e in tutte le salse; l’Apé Xtra, l’Apé Xtra Passenger e l’Apé Mini, interpretazione indiana della nostra Ape Poker.

Evidentemente non siamo i soli ad aver trovato in questo veicolo e nelle sue molte varianti un’importante fonte di utilità, e vittorie del genere devono pur significare qualcosa.

Se sapesse che vor dì per me ‘sta storia” piagnucola Antonio mentre un carabiniere divertito raccoglie la sua denuncia di furto della bicicletta; e il carabiniere non lo sa, perché ha già un impiego sicuro e probabilmente si domanda perché qualcuno debba prendersi il disturbo di preoccuparsi tanto per una vecchia bicicletta, quasi sicuramente da buttare. Non sa che senza di essa Antonio finirà per perdere il lavoro che ha trovato con tanta fatica, e del quale era così contento. E non sa nemmeno che di lì a poche ore la disperazione per l’ingiustizia subita porterà un uomo onesto a diventare un criminale qualunque nel tentativo di ottenerne comunque una, di bicicletta, a ogni costo.

Beh, la prossima volta che vedremo un nipote del Piaggio Ape passeggiare tranquillo sulle nostre strade, magari su un viottolo di campagna con l’immancabile contadino alla guida, non dimentichiamo da dove viene e soprattutto da quale periodo storico è venuto; non dimentichiamo che è arrivato fin qui attraverso tutte le difficoltà che hanno attraversato i suoi creatori e coloro che l’hanno adoperato. “Se sapeste cosa significa per noi questa storia”.

Scritto da Elisa Costa

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